Nelle tabelle elaborate
dall’Oms, salumi e insaccati
sono stati catalogati nel
gruppo delle sostanze che
causano il cancro, insieme al fumo. Ma è
importante capire quali sono i reali margini
di rischio e oltre quali dosi vale la
pena preoccuparsi davvero.
Salsicce, prosciutto, pancetta, wurstel
e cotechini, tutti sotto accusa. Dopo
che le carni lavorate sono state inserite
fra le sostanze cancerogene indicate dalla
Iarc, la divisione dell’Organizzazione
mondiale della sanità (Oms) che si occupa
di ricerca sui tumori, cresce l’allarmismo
fra i consumatori. Chiariamo i dubbi
più frequenti con la dottoressa Lucilla
Titta, nutrizionista e ricercatrice presso
il Dipartimento di Oncologia sperimentale
dell’Istituto europeo di oncologia di
Milano.
La carne lavorata è stata inserita nel “gruppo 1”, che contiene i carcinogeni umani certi. Che cosa vuol dire?
«La Iarc ha creato un sistema di classi -
cazione delle varie sostanze (alimentari
e non) in base al loro livello di cancerogenicità,
dimostrato da studi scientifici preci
“convincenti”, ovvero ben condotti,
strutturati e corredati da dati certi, epidemiologici.
Nel caso della carne lavorata
sono stati esaminati circa ottocento
studi, in base ai quali viene dimostrata
l’effettiva correlazione fra il suo consumo
e un aumentato rischio di cancro:
per questo motivo è stata inclusa nel
gruppo 1, contenente le sostanze sicuramente
cancerogene, a differenza di
quelle possibili (gruppo 2), non classificabili (gruppo 3) e probabilmente innocue (gruppo 4)».
Allo stesso gruppo appartengono anche l’amianto, l’arsenico e il fumo di tabacco: dunque, un panino al prosciutto è pericoloso come una sigaretta?
«No, ogni sostanza ha un differente grado
di rischio, cioè diventa pericolosa a
concentrazioni diverse. Facendo un paragone
statistico, fumare sigarette ogni
giorno aumenta del 400 per cento il rischio
di cancro al polmone, mentre il
consumo quotidiano di 50 grammi di
carne lavorata fa salire del 18 per cento
la probabilità di sviluppare un tumore al
colon. Un pericolo relativo, dunque, ma
comunque esistente».
Che cosa si intende per carne lavorata?
«Sono tutte quelle carni che subiscono
un qualsiasi processo di trasformazione
(salatura, cottura, fermentazione,
stagionatura, affumicatura, essiccazione,
aggiunta di conservanti...). Si va dai
wurstel alla salsiccia, dal prosciutto alla
carne in scatola».
Il metodo di lavorazione può cambiare il livello di pericolosità?
«Al momento non è noto. Gli studi presi
in considerazione dall’Oms fanno riferimento
a tutta la carne trasformata,
senza differenze fra i singoli prodotti.
Ciò significa che neppure le varie denominazioni
di qualità, come Dop o Igp,
rappresentano una garanzia di maggiore
salubrità».
Salumi, insaccati e carne in scatola sono tutti uguali?
«No. Gli insaccati sono
realizzati miscelando un insieme
di ingredienti (carne, grasso, sale,
spezie, additivi...) che vengono
poi chiusi in involucri naturali o artificiali; i salumi non insaccati vengono
prodotti sottoponendo parti intere
dell’animale a un processo di cottura
o stagionatura; lo scatolame si ottiene
da carne solitamente lessata,
suddivisa a tocchetti e poi sistemata
in barattoli di lamiera stagnata, chiusi
ermeticamente».
Quali tipi di cancro sono associati al consumo di questa carne?
«Principalmente al colon, ma alcuni studi
indicano come probabile anche quello
allo stomaco».
Che cosa determina la cancerogenicità di questi preparati?
«Fra le ipotesi più accreditate c’è la presenza di un particolare zucchero nella carne rossa, il Neu5Gc
(molto concentrato nei prodotti lavorati),
che scatena una risposta immunitaria
nell’organismo e determina uno
stato in ammatorio cronico, favorendo
nel tempo la formazione di tumori.
Altri studi incolpano la carne di alterare
la flora batterica intestinale, ma sotto
accusa ci sono anche nitriti e nitrati,
largamente impiegati come conservanti,
capaci di trasformarsi in sostanze potenzialmente
pericolose».
Per stare tranquilli, bisogna eliminarla del tutto?
«No. Va evitato l’uso sovrabbondante,
ovvero in quantità eccessive e troppo
frequente, ma 50 grammi di carne lavorata
a settimana (l’equivalente di un panino
o un piccolo antipasto) possono essere
consumati senza timore».
Si parla di carne rossa trasformata. Quindi, il pollame è sicuro?
«In effetti, l’Oms fa riferimento a manzo,
vitello, maiale, agnello, montone, cavallo
e capra, perché da tempo la carne rossa
è additata come possibile cancerogena.
Detto ciò, anche il pesce e la carne
bianca (pollo, tacchino, coniglio) vanno consumati con moderazione nelle versioni
lavorate a causa dell’elevato contenuto
di sale, che – oltre a essere implicato
nel danno cardiovascolare – sembra
correlato alla trasformazione neoplastica
delle cellule dello stomaco».
Esiste un modo per neutralizzarne gli effetti negativi?
«Conducendo uno stile di vita che prevenga
i tumori, specie quelli al colon.
Fra i comportamenti più salutari per
l’intestino ci sono una costante attività
fisica e il consumo quotidiano di almeno
30 grammi di bre (pasta, cereali, legumi)
e altri 400 di frutta e verdura. Tutte
le raccomandazioni del World cancer
research fund international sono raccolte
e tradotte in italiano all’indirizzo
www.ieo.it/smartfood».
Se esistono queste evidenze scienti £ che, perché le sostanze del “gruppo 1” non vengono vietate per legge?
«Perché l’efetto dipende sempre dalla
quantità: una sostanza può essere cancerogena
ad altissimi dosaggi o con durate
di esposizione molto lunghe, ma
non nella misura con cui l’uomo viene a
contatto nella vita quotidiana».