Quello che non ti aspetti.
Almeno dopo Gomorra,
feroce cronaca della camorra,
e Reality, elegia
dell’Italietta schiava dei
modelli televisivi (pellicole
premiate entrambe
con il Grand Prix di Cannes).
Il racconto dei racconti di Matteo
Garrone in concorso al Festival di Cannes è uno sgargiante fillm in costume.
Boschi fatati e castelli, regine e re,
draghi e streghe, artisti circensi e lavandaie.
Sullo schermo è un rutilare
di abiti principeschi e disavventure.
Un kolossal fantasy (costo attorno ai
14 milioni di euro) degno dei recenti
successi Disney. Se non fosse che morale
e stile visivo hanno gusto decisamente
più europeo. Eppure, non c’è
da sorprendersi. Garrone mescola da
sempre reale e fantastico.
Il suo cinema è sguardo incantato
e distaccato sulla realtà. È stato così
da L’imbalsamatore, suo primo successo
del 2002, no a Reality.
Si pensi, per esempio, alla sequenza
iniziale di Gomorra: lame di luce al
neon, bagliori violacei, sagome che fluttuano irreali in un salone di bellezza
per soli uomini, finché il crepitare
degli spari non schizza di sangue
le pareti color latte.
Il cuore degradato
di Scampia sembra l’angolo di un pianeta
di Guerre Stellari. Perché è solo
nelle sue fantasie più angosciose che
lo spettatore può arrivare a concepire
una ferocia così inumana.
«Mi fa piacere che l’abbia notato»,
confessa Garrone, 46 anni, capelli cortissimi
che incorniciano la faccia stanca
ma sorridente di chi sa di aver dato
il massimo. «Questa volta mi sono
trovato a dirigere sul set anche cento
persone, per di più in inglese. E per di
più portando sulle spalle non soltanto
le responsabilità di regista, ma anche
quelle di produttore. Non è stata una
passeggiata, ma adesso posso dire davvero di provare una bella soddisfazione. Abbiamo anche riportato in Italia i migliori artisti del cinema italiano, solitamente costretti a lavorare all'estero».
Vuole farci qualche nome?
«Mi riferisco a Massimo Cantini
Parrini, allievo della sartoria Tirelli e
collaboratore della stessa Canonero:
senza i suoi costumi il mondo fantastico
di Basile non avrebbe trovato
forme e colori. Poi lo scenografo Dimitri
Capuani, a sua volta allievo del
premio Oscar Dante Ferretti. Con loro,
decine di artigiani che nulla hanno da
invidiare a quelli più famosi che lavorano
a Hollywood. Senza dimenticare
le musiche di Alexandre Desplat,
il compositore francese ora al lavoro
sulla colonna sonora del nuovo Guerre
Stellari e fresco presidente di giuria
alla Mostra di Venezia».
Trovare in Italia i soldi per un film
non è impresa ardua?
«Effettivamente occorre pensare
in grande, come dimostrano i successi
dell’amico Paolo Sorrentino, pure lui
qui a Cannes in concorso. Entrambi
abbiamo girato in inglese per tutte
le sale del mondo. Se Il racconto dei
racconti piacerà, potremmo persino
ricavarne una serie per la televisione.
Come è stato per Gomorra, anche se
qui si tratta di tutt’altro genere. Ho già
nel cassetto le sceneggiature di altre
novelle di Basile».
Lei naturalmente si rende conto
che sulla Croisette la aspettavano con il fucile puntato...
«C’è poco da fare, questa è la legge
del Festival. Avendo fatto parte della
giuria di Venezia, so bene da quanti e
quali compromessi nascano le assegnazioni
dei premi. Ma non importa.
Cannes è la vetrina più prestigiosa
per un film».
(L'intervista integrale è sul numero di Famiglia Cristiana in edicola).