Aldo Giannuli.
Può uno Stato trattare con un contropotere non riconosciuto, addirittura criminale come Cosa nostra, come ipotizzano i magistrati di Palermo, che la scorsa settimana hanno interrogato addirittura Napolitano? “Se per trattativa intendiamo nel senso classico, di due parti che si incontrano e sottoscrivono un testo, probabilmente no", risponde Aldo Giannuli, uno dei maggiori studiosi dei servizi segreti in Italia, consulente delle Procure e docente di Storia del mondo contemporaneo alla Statale di Milano. "Queste cose non avvengono mai con incontri diretti o delegazioni che si siedono intorno a un tavolo. Ma qualcosa sui generis può esserci stato. Di solito ci sono degli intermediari, entrano in gioco i servizi, c’è uno scambio di segnali negli interstizi del potere e della società per i quali a un certo punto c’è chi offre una cosa e aspetta un segnale dall’altra parte”.
La controprova, alla luce del sole di una trattativa qual è?
“Potrebbero essere i provvedimenti del Governo o le leggi che vengono approvate dal Parlamento. Ma anche in questo caso è difficile poi stabilire fino a che punto. Tutto si muove nel campo dell'indefinibile e del non dimostrabile. Se io faccio una legge e abrogo il 41 bis, l’ho fatto perché me lo hanno chiesto quelli della mafia o perché io ho deciso di farlo in seguito a delle decisioni pulite e oneste, basate sui diritti civili dei detenuti, da parte del Parlamento? La prova certa lei non l’avrà mai. Probabilmente, nel nostro caso, dopo le stragi del ’92 e del ‘93 c’è stata una sorta di trattativa, ma molto sui generis, come ho detto. Non c’è stato mai alcun tavolo in cui si sono sedute due delegazioni, lo Stato da una parte e la mafia dall’altra”.
La deposizione di un presidente della Repubblica è il primo caso nella storia d'Italia?
“Sì, è un unicum. Non credo affatto che ci siano precedenti nella storia d’Italia, di presidenti in carica chiamati a deporre in un processo per di più di questa portata e su un argomento così scabroso. Anche se la Costituzione, sotto certe forme, prevede che il capo dello Stato possa deporre. Napolitano poteva ad esempio anche legittimamente rifiutarsi di testimoniare e nulla avrebbe potutto essere fatto per impedirglielo. Ma ha fatto bene a rispondere alle domande dei magistrati, probabilmente per non attirare dubbi sull'immagine del Quirinale. Anche se non è stata una deposizione molto lunga. Tre ore e mezzo per un tema del genere sono poche".
L'aula bunker di Palermo, dove si svolge il processo sulla Trattativa Stato-mafia.
Lo sbarco in Sicilia e Lucky Luciano
C'era stato il segretario generale dello Stato che in una lettera
aveva scritto quella frase, "umile scriba di indicibili accordi".
"Premessa. Nei confronti del dottor D'Ambrosio, recentemente scomparso, è
giusto adottare il massimo del riguardo. I giudici hanno voluto
approfondire quella frase. Ma non sappiamo se sia stata pronunciata in
condizioni di stress o altro. Ripeto, non sta a me commentare una frase
quanto mai delicata ed espressa in un contesto difficile da interpretare
a posteriori".
Esistono trattative analoghe nella storia d'Italia?
“Storicamente c’è un precedente molto importante: lo sbarco in Sicilia
degli americani, in cui ci fu un appoggio contrattato con Lucky Luciano
della mafia contro i tedeschi che furono costretti a battere in ritirata
e fuggire dall'Isola. Lì c’è stata una vera trattativa in situazione di
guerra così come ce ne sono state altre a livello mondiale. Di solito,
va detto, in periodi di guerra. Negli Stati Uniti, nel Dopoguerra, ci fu
un episodio abbastanza implicito per il quale furono concessi alle
organizzazioni criminali alcuni settori dell’economia (come quello delle
lavanderie automatiche) in cambio del relativo contenimento dell’azione
criminale (meno racket, meno omicidi, meno regolamenti di conti etc.).
Intendiamoci: nulla di provato. Ma che lo Stato a volte ricorra a tutto
questo in forme informali, di solito mediate dai servizi, non è una cosa
che stupisca più di tanto”.
La trattativa sui generis, in tutto il mondo, fa parte del gioco…
“Il problema è che queste cose sono sempre piuttosto scivolose e
pericolose perchè espongono allo scandalo e al ricatto e perché non lo
puoi fare pubblicamente. Sarebbe meglio fare tutto alla luce del sole,
ma farle digerire all’opinione pubblica è difficile. Nel nostro caso, di
fatto, la strategia stragista si fermò. Era un periodo torbido, c’era
il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, molte cose non sono
affatto chiare. Forse scattò il principio della salus populi suprema lex, la salvezza del popolo come la legge suprema”.
Si dice che si potrebbe arrivare alla conclusione del processo tra
due anni. Come si può tenere un Paese sospeso su simili argomenti, che
producono dibattiti feroci e polemiche, per tanto tempo?
“Non sono affatto sicuro che bastino due anni. Forse la sentenza di
primo grado. Ma se pensiamo a una sentenza definitiva non ci credo, ce
ne vorranno tre o quattro. Molto più saggio sarebbe, mentre la
magistratura fa il suo corso, istituire un’immediata commissione di
inchiesta parlamentare che accerti le responsabilità politiche. In
questo caso una prima risposta al Paese si potrebbe dare. Quanto alle
responsabilità penali, non mi sembra la fine del mondo attendere più
tempo. Abbiamo aspettato vent’anni, possiamo aspettare anche per altri
tre o quattro”.