In gita non c’è posto per tutti e si lasciano a casa gli alunni più indisciplinati. Ed è subito polemica. Se è vero che la gita è un’attività didattica e che l’intero gruppo classe ha il diritto di parteciparvi, è anche vero che talvolta durante l’anno scolastico su alcuni alunni particolarmente refrattari alla disciplina sono stati tentati vari tipi di interventi educativi, senza ottenere risultati.
E nell’età della preadolescenza si può ritenere educativo anche far capire che un’azione ha delle conseguenze e che non sempre si può reiterare un comportamento di disturbo vedendosi garantiti tutti i diritti. Anche perché questo atteggiamento va a ledere il diritto del gruppo classe di voler studiare, stare attenti alle lezioni, sostenere un dialogo con gli insegnanti, collaborare con gli altri ragazzi, insomma fare scuola. E a volte il clima in classe è pesantemente condizionato dal comportamento di pochi. E se per timore che anche la gita possa finire nel solito caos, e che la situazione scappi di mano, i professori decidono di rinunciare, ciò va a svantaggio di tutti, anche di quelli che hanno sempre osservato le regole e hanno mostrato interesse e attenzione. Certo, l’esclusione dalla gita non deve arrivare come un fulmine a ciel sereno, ma deve essere ventilata in anticipo per provare a richiamare a un comportamento più consono i cosiddetti disturbatori.
Non vogliamo generalizzare e siamo ben consapevoli che talvolta certi atteggiamenti sono causati da situazione familiari pesanti, da una deprivazione sociale, da disagi ascrivibili ai cosiddetti Dsa. Ma sta agli insegnanti saper discernere e valutare chi davvero viola le regole e si rende protagonista di provocazioni sistematiche fidando su una sostanziale impunità, perché le note e i richiami non sono vissuti come un reale deterrente. E allora in questi casi vedere i compagni che partono per la gita mentre loro restano a casa, potrà davvero essere un monito che li farà profondamente riflettere e magari cambiare il corso dei loro comportamenti in futuro.