Chissà se il New York Times rispolvererà quel titolo:«Seconda potenza mondiale». Lo usò 16 anni fa per commentare vie, piazze, porti pieni e colorati. Era il 22 febbraio 2003. Contro la guerra che gli Stati Uniti d'America stavano per scatenare in Irak, si mobilitarono 110 milioni di persone in 603 città sparse in tutto il pianeta (3 milioni solo a Roma). Le cose andarono come sappiamo.La prima potenza d'allora, gli Stati Uniti d'America, sono anche rimasta l'unica.
Posto che la storia non si ripresenta mai uguale a se stessa, ora in qualche modo si replica. Quanto è accaduto venerdì 15 marzo in almeno 2052 città di 123 diversi Paesi ha rievocato quella e altre mobilitazioni di massa, ha svegliato emozioni profonde, ha attivato energie, ha indicato mete. Ci voleva lo sguardo terso di una sedicenne (la svedese Greta Thunberg, già opportunamente candidata al Nobel per la pace) per squarciare inerzie e omertà gridando al mondo che o s'interviene adesso o diventa troppo tardi, che l'inquinamento uccide, che la desertificazione genera flussi migratori.
C'è chi - vista l'età dei manifestanti: studenti e giovani, soprattutto - ha parlato di un nuovo possibile Sessantotto. La Casa Bianca, sempre lei, rimane ostinatamente di sfondo: al posto di Lyndon Johnson e Richard Nixon, ecco Donald Trump che ha fatto uscire gli Usa dagli accordi di Pairigi sul clima. Cambiano università (non più California, non più Berkeley) nè, tra i punti di riferimento, ci sono filosofi tipo Jean-Paul Sartre e Herbert Marcuse. Soprattutto, oggi, niente Marx, le cui tragiche, sanguinarie e liberticide applicazioni sono state finalmente lasciate alle spalle. Si guarda semmai a papa Francesco, il primo e più convincente a parlare di "ecologia integrale", come prova la Laudato si' . Perché natura e umanità sono intrecciati insieme. Perché ecologia e giustizia sono due facce della stessa medaglia. La «Seconda potenza mondiale» scesa in piazza il 15 marzo ha dimostrato di saperlo di più e meglio di tanti editorialisti, sociologi e politici.