Un carico di medicine fermo al valico di Kerem Shalom, tra l'Egitto e la Striscia di Gaza (Reuters).
Per quel che vale, io penso che l'accordo tra i palestinesi di Hamas e Al Fatah, cioè tra chi comanda a Gaza e chi comanda in Cisgiordania, sia un errore (Hamas è irredimibile) e comunque non possa funzionare. Me lo conferma un episodio dei giorni scorsi, quando il ministero delle Finanze di Gaza ha imposto nuove tasse sull'importazione di una lunga serie di generi di prima necessità: vestiario, materiali da costruzione, generi alimentari, materiale elettrico e, soprattutto, medicine.
Questo significa due o tre cose. Primo: non c'è alcun coordinamento, alcuna unità politica d'intenti tra Cisgiordania e Gaza, a dispetto di tutte le dichiarazioni dei leader. Secondo: nelle due parti di quello che, in teoria, dovrebbe essere un unico ed equivalente spazio palestinese, sono in vigore due regimi fiscali diversi. Cittadini uguali trattati in modo disuguale: di che unità stiamo parlando?
Terzo, e dal punto di vista delle persone ancor più grave: in seguito alle nuove tasse, quei beni indispensabili alla popolazione di Gaza ricominciano a scarseggiare. In particolare le medicine. Il nuovo regime fiscale pesa per il 2,5%. I fornitori, che sono sia israeliani sia palestinesi della Cisgiordania, sostengono di avere un margine di profitto del 15% e che limarlo ulteriormente non è possibile. Risultato: vendere medicine a Gaza non conviene, le importazioni sono ferme dall'inizio di dicembre e le farmacie della Striscia sono ormai vuote. Con un incremento delle sofferenze per la povera gente.
Un'ulteriore riflessione diventa inevitabile: i dirigenti di Hamas non potevano non sapere quanto sarebbe successo aumentando le tasse su questi beni. Se ne può quindi concludere che incassare è per esse più importante che difendere la salute dei loro cittadini.