Il termine significa, alla lettera, seguire una via sbagliata, andare su sentieri di perdizione, o anche fallire il bersaglio. La conseguenza è la rottura della relazione con Dio, gli altri, la natura
Il tempo quaresimale nel quale siamo entrati ci spinge a proporre ora e in futuro una costellazione di parole ebraiche bibliche legate al tema del peccato, della colpa, dell’espiazione e della conversione. Iniziamo col verbo hata’ (la prima h è aspirata) che genera un grappolo di vocaboli derivati: esso risuona 593 volte nell’Antico Testamento e ci fa comprendere quanto sia rilevante il tema.Letteralmente questo verbo signica «sbagliare» la giusta via, «errando» su sentieri che conducono alla perdizione. È anche un «fallire il bersaglio», come la freccia che non raggiunge il centro, ma devia e cade a terra.
La rappresentazione più incisiva del peccato è posta proprio in apertura alla Bibbia, nei capitoli 2-3 della Genesi. L’uomo è stato creato da Dio in armonia con lui, in un dialogo vitale (il respiro e la coscienza); con la terra che deve «coltivare e custodire», stando in compagnia degli animali ai quali assegna il nome; infine, con il suo simile, la donna, «un aiuto che gli sta di fronte», come si esprime letteralmente il testo sacro, ossia che gli sta a fianco in parità (tale è il valore simbolico della «costola»).
Questo progetto, descritto nel capitolo 2, è scardinato dalla creatura umana con la libertà di scelta donatagli da Dio. Infatti, l’uomo sotto l’albero della conoscenza del bene e del male, simbolo della morale, ne strappa il frutto decidendo lui ciò che è giusto e ingiusto, indipendentemente dall’etica denita da Dio. È così che il capitolo 3 descrive la devastazione dell’armonia precedente, con la rottura della relazione con Dio, con la natura, con il prossimo. È quello che noi siamo soliti chiamare «peccato originale», definizione, radice e sintesi di ogni nostra colpa.
Il peccato dilaga nella storia umana nelle forme più perverse. La Bibbia punta spesso l’indice contro l’idolatria. Mosè, per esempio, evocando il culto del toro/vitello sacro, tipico della religione indigena dei Cananei, dichiarava: «Presi l’oggetto del vostro peccato (hata’), il vitello che avevate eretto, lo bruciai nel fuoco, lo feci a pezzi, frantumandolo finché fosse ridotto a polvere » (Deuteronomio 9,21). Lo stesso Mosè, la guida degli Israeliti nel deserto del Sinai, dopo quel peccato di idolatria, si rivolge così al Signore: «Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato (hata’) e fa’ di noi la tua eredità» (Esodo 34,9).
Dato il rilievo del tema, nella pur povera lingua dell’ebraico biblico fatta solo di 5.750 vocaboli, sono diversi i termini che indicano il peccato. Ne proponiamo un esempio attraverso la preghiera penitenziale biblica più famosa, il Miserere. Essa inizia così: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia trasgressione (pesha‘); lavami tutto dalla mia colpa (‘awôn), dal mio peccato (hata’) rendimi puro» (Salmo 51,3-4). Abbiamo voluto mettere tra parentesi i diversi vocaboli ebraici per mostrare la varietà degli aspetti del peccato.
Un teologo francese, Paul Beauchamp, in maniera suggestiva ha messo in parallelo il Decalogo divino scritto sulla pietra e il peccato stampato nella carne viva del nostro cuore, cioè della nostra coscienza: «Il peccato incide nel cuore con un suo stilo di ferro l’inverso di quello che la legge divina incide sulla pietra». Egli riprendeva una potente immagine del profeta Geremia: «Il peccato (hata’) di Giuda è scritto con stilo di ferro, è inciso con punta di diamante sulla tavola del loro cuore».