L'amata (La sposa), dipinto di Dante Gabriel Rossetti (1828-1882). Londra, Tate Gallery.
Non poteva mancare nel Lezionario
del matrimonio un
brano del capolavoro poetico
dedicato all'amoretra
uomo e donna, le 1.250 parole
ebraiche del “Cantico dei
Cantici”, cioè il «cantico sublime», un
poemetto intarsiato di simboli, percorso
dalla gioia, capace di trasformare in
primavera anche l’arido e assolato panorama
palestinese. Al centro di questo
giardino ci sono Lui e Lei, l’eterna coppia
che appare ogni giorno sulla faccia
della terra per cantare l’amore come
riflesso dell’Amore infinito di Dio.
Celebrazione
dell’amore umano, della mutua
donazione – limpidamente dichiarata
dalla frase «Il mio amato è mio e io
sono sua» (2,16) – il Cantico ripete che,
se esiste l’amore, esiste Dio. L’uomo da
solo non può creare una realtà così suprema
se Dio non la donasse, irradiandola
da sé stesso.
Nel brano della liturgia nuziale
sono unificati due passi stupendi del
poemetto. Nel primo l’amato sta per
giungere alla casa della ragazza dopo
una notte oscura di lontananza. Egli si
accosta al muro della casa, occhieggia
dietro la finestra protetta dalla grata
che attenua l’ardore del sole e il bagliore
accecante della luce. Il suo spiare dietro
la griglia, il suo affanno per la corsa, la
sua mobilità lo rendono simile a un
capriolo o a un cerbiatto. Le sue parole
sono piene di tenerezza: egli paragona
l’amata alla colomba che nidifica negli
anfratti dei dirupi ed era nota nell’Antico
Oriente come simbolo di amore e di
fedeltà.
La domanda che rivolge all’amata
è una sola: la implora di svelargli
il suo volto e di fargli udire la voce. È l’unica
sua attesa.
La scena è suggellata dalla «formula
della mutua appartenenza o donazione»
sopra citata, riedizione dell’inno
d’amore dell’Adamo di ogni terra ed
epoca quando incontra la sua donna:
«Carne dalla mia carne, osso dalle mie
ossa» (Genesi 2,23). Essa allude alla formula
che lega Dio e l’uomo in un’alleanza
d’amore: «Il Signore sarà il tuo
Dio… e tu sarai un popolo tutto suo»
(Deuteronomio 26,17-18). Giungiamo,
così, all’apice del Cantico. Appare il simbolo
del sigillo che si portava al dito o
al braccio o sul petto con una catenella
e serviva come “documento d’identità”.
La sposa è il sigillo dello sposo, la sua
stessa identità e personalità, senza di lei
egli sarebbe vuoto e anonimo.
Questa
reciproca appartenenza non può essere
infranta neppure dal Nemico per eccellenza,
la morte, perché «forte come la
morte è l’amore ».
Le prove della vita, le sofferenze, il
gelo delle crisi, gli incubi quotidiani e le
disgrazie eccezionali, la stessa morte non
potranno mai staccare la sposa dal suo
amato. Entrambi passeranno attraverso
tutti gli «inferni» e tutte le paludi del dolore,
della crisi, della desolazione conservando
intatta la fiamma del loro amore.
«L’amore mi irrora come il sangue dalle
arterie alla pelle. Mi dilata perché trabocchi
dell’amata. Soggiorna in tutte le fibre
del mio essere. Di me non rimane che il
nome, tutto il resto è l’amata (da Il libro
dell’uomo perfetto di Aziz-ud-Din Nasafi,
mistico persiano del XIII secolo)